Febbraio 2016:the meeting at the disco

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Poi ci fu l’incontro in discoteca.

Totalmente casuale, eh.

Ero venuta a sapere dallo studente che se ne andava a ballare in un determinato posto, e ci trascinai senza troppi preamboli mia cugina. Ripeto, del tutto casuale.

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Vabbè dai su, a parte gli scherzi, vi spiego meglio come è andata, potete anche abbassare il vostro sopracciglio accusatorio.

La realtà è che da un po’ di tempo mi andava di farmi una serata da qualche parte, ed ero venuta a sapere di questa nuova discoteca che aveva appena aperto e avevo intenzione di andarci quel fine settimana. A fine lezione, quel venerdì, premettendo che ormai si era creato un certo clima di confidenza e che loro erano soliti parlarmi di ciò che avrebbero combinato nel w.e.; chiesi per scrupolo delucidazioni su quali fossero gli eventi appetibili in giro, dato che sicuramente essendo quello il loro unico scopo di vita ne sapevano qualcuna in più di me; e infatti, due tre di loro mi resero edotti delle varie serate che c’erano in giro. Lo studente malefico tuonò con grande entusiasmo che aveva una festa dei diciotto anni (diciotto, per dio!!arrestatemi, plz..) di un amico in tal posto, un altro che andava da un’altra parte, eccetera. Ad un certo punto ricollegai che il nome del posto dove sarei voluta andare aveva lo stesso nome di quello che mi aveva appena nominato lo studente malefico, e d’istinto dissi:

“No vabè, mi hai appena rovinato il w.e., avevo intenzione di andar lì, ma ora eviterò accuratamente”, e il bello è che lo pensavo davvero, lì per lì. Le ultime parole famose…

Chiaramente se già aver fatto una domanda innocente a scopo puramente informativo aveva comportato che ognuno di loro avesse premuto l’acceleratore cercando di rendermi il più appetibile possibile il posto dove andavano per invogliarmi ad andare lì, quest’ultima confessione caricò lo studente ancora di più, e cercò di convincermi. Io chiaramente chiosai, e tornai a casa pensando che non ci volevo più andare.

Ma non ci volevo, o piuttosto, non ci potevo andare?

Quali obblighi morali mi frenavano, in fondo?

La verità era che rosicavo dentro perché mi rodeva rinunciare ad una serata per il semplice fatto che uno di loro era lì. Cosa che mi fecero notare anche altre persone accanto a me.

In effetti, per tutti quei mesi ero rimasta terrorizzata all’idea di poter incontrare i miei studenti in giro (cosa che era chiaramente successa), e, ogni volta che uscivo, prima di portare la pinta di birra alle labbra mi guardavo guardinga in giro peggio di una sentinella. Gli amici si erano un po’ rotti di tutte queste mie stupide paranoie, alla fine non stavo ammazzando nessuno e avevo diritto anche io alla mia vita sociale. Sostenuta da questa mia nuova filosofia di vita, decisi coraggiosa di andare comunque, seppur con qualche remora.

Alla fine il posto era grande, non ci saremmo necessariamente beccati.

E infatti, per tutta la serata le nostre strade non si erano incrociate. Erano ormai quasi le tre e mi ero goduta la mia serata, quando per riprendere un po’ d’aria dalla folla ho scavalcato il buttafuori di turno per salire nello spiazzo dedicato ai tavolini.

Ho fatto due gradini e mi è caduto l’occhio sui divanetti poco più avanti a me.

CAZZO” ho pensato mentre un guizzo mi attraversava il cervello e d’istinto mi sono subito rigirata aggrappandomi alla ringhiera del palco come nulla fosse, seguita da mia cugina.

Siamo rimaste a respirare lì, sopra la folla, mentre mi dicevo che forse non era stata proprio una buona idea venire lì come niente fosse, se ora non mi andava nemmeno di salutarlo.

Mi aveva visto?

Oh sì, che mi aveva visto. Ero sicura che ora già stava sgomitando con tutta la cricca.

Ormai la frittata era fatta, fuggire non si poteva.

Mettono un pezzo che mi piace parecchio, quindi per un minuto mi dimentico della situazione e canto a squarciagola aggrappandomi a mia cugina come non ci fosse un domani, ma proprio mentre siamo rapite dalle note tutte abbracciate e agitiamo le mani al cielo…..mi sento toccare la spalla.

Mi giro-poco sorpresa a dir la verità- e:

“Prof, ma che ci fa qui?”

Lo studente sghignazza letteralmente sotto i baffi e si mette le mani in faccia come a dire oddio. Io recito la parte della persona stupita, oh ciao, ma allora sei qui, non ti avevo visto-come no!- e lo presento alla cugina.

“Aveva detto che non veniva, prof….” mi fa lui, maledetto serpente velenoso, adocchiandomi provocatore.

“Eh lo so, però avevamo già organizzato la serata e non mi andava di rinunciare…” ho ammesso io. E poi niente.

E poi ci siamo messi a parlare. E non la finivamo più.

E finché non mi sono staccata io, non mi mollava.

Abbiamo parlato di tutto, dai discorsi sul futuro, su quali erano le sue prospettive universitarie, ai problemi della scuola, ai discorsi sugli amici e la ragazza da dover lasciare trasferendosi da qualche parte…Mi ero sciolta, e parlando di come un tipo capace come lui fosse finito in quella scuola dove, obbiettivamente, c’erano solo persone che avevano seri problemi con lo studio e davvero poca voglia di studiare, per un attimo, complice l’alcool e la confidenza, gliel’ho proprio dovuto dire:

“E comunque, te lo devo dire, tu là dentro non c’entri proprio un tubo”, solo che anziché tubo, mi è uscita un’altra parola. Per poco non si schianta dalle risate. Mi sono vergognata come un gambero ma ormai era fatta.

“No vabbè prof, se è per questo pure lei non c’entra niente là dentro, è una gabbia di matti, se ne deve andare, può davvero aspirare ad altro nella vita, se lo merita, ha tutta la mia stima..”

E ancora giù coi discorsi seri e io a sequestrargli il bicchiere perché già lo vedevo mediamente sbronzo, peccato però che se ho un bicchiere in mano d’istinto mi venga da finirlo, così poi la sbronza son diventata io; finché ad un certo punto mi guarda con un sorriso sincero e mi fa:

“Prof, lo sa? Lei mi ha risollevato la serata…”

“…”

“No, sul serio, ero seduto là, scoglionato, non mi andava di ballare o di far niente, manco più di bere, quando ho visto lei…e non mi è parso vero..mi ha proprio svoltato la serata…”

“Ehm, grazie..”

Ed è a quel punto che ho troncato lì la conversazione e mi sono riseduta con mia cugina col pretesto delle gambe stanche.

Ero un po’ sbronza e mi stava girando la testa ma cercavo di non darlo a vedere-ci sarebbe mancato solo quello…

Appena ci siamo rialzate mi è venuto vicino.

Mentre chiacchieravamo, gli amici gli si sono fatti intorno incuriositi, così mi ha presentata.

“Questa è la mia professoressa di lingue, ragazzi”

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Mi hanno squadrato da capo a piedi. Devo premettere che avevo un vestito nero corto, i capelli lunghi sciolti e boccolosi, e il trucco non certo da educanda. Insomma, era il mio sabato sera, ovvio che non fossi nella mise mattutina e sobria che generalmente adottavo durante le lezioni.

“Cioè, lei è la tua prof?”

“Sì, ehm, piacere”

“Ma è troppo giovane, troppo….cioè dai, siam seri…”

“Non ce l’avevi mica detto che avevi una prof così, bastardo”

“Che gran culo che hai, bastardo due volte”

“Con una prof del genere, io andrei sempre a scuola”

“Ecco perché quest’anno frequenti sempre, paraculo”

Mi sono vergognata come un porco, ma ho cercato di minimizzare:

“Ma non mi sembra che invece sia una valida discriminante…” e invece sì che lo era, veniva sempre “le assenze le fa anche lui, eh..” dico riassumendo il ruolo da prof bacchettona.

“Prof non dica così, vengo sempre a scuola, lo sa”

Gli amici mi si sono fatti intorno, e uno di loro piuttosto ubriaco nel parlarmi per poco non mi viene sopra, al che io faccio un passo indietro per mettere un po’ di distanza ma tanto ci aveva già pensato lo studente che mettendogli una mano sul petto lo blocca e lo tira indietro:

“Oooh, sta buono, eh”

E per qualche istante mi aveva lasciata da solo con un altro che mi stava tartassando di domande, ma vedendo che insisteva si è riavvicinato e lo ha interrotto:

“Ma ci stai provando con la mia prof?”

E l’ha allontanato.

E niente, poi li abbiamo salutati e siamo andate via. Facendomi promettere che non avrebbe fatto il gradasso cogli altri in classe vantandosi di aver beccato la prof in giro. E devo dire che la promessa l’ha mantenuta.

Ma così si era già creato un piccolo segreto da mantenere, una cosa di cui sapevamo soltanto noi due. Era una cosa stupida, dal contenuto irrilevante, eppure era proprio il fatto di condividere un qualcosa di privato, che era successo, che lo rendeva strano, e gli dava quel qualcosa in più.

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11 pensieri su “Febbraio 2016:the meeting at the disco

  1. PePs ha detto:

    Questo episodio mi ha fatto ricordare che ai tempi del liceo avevo una giovanissima (nonché bellissima) prof di Inglese. Fu bello ritrovarla all’università come responsabile del laboratorio di lingue, passando da un reverenziale “lei” ad un confidente “tu”.

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    • La Prof ha detto:

      Ti dirò, il mio studente mi ha dato del lei fino alla fine, ed oltre…ma lui era particolare. Gli altri compagni a fine anno confondevano teneramente le due persone come niente fosse, altri addirittura per nome. Ma bho, era una scuola privata, il rapporto era molto stretto e diretto, nella pubblica è molto diverso, a prescindere se superiori o università.

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      • PePs ha detto:

        Veramente dipende sempre dalle persone.
        Poi se per scuole private intendi i diplomifici del “due in uno” allora sì le cose cambiano! In alternativa il buon distacco fa sempe bene.

        Comunque il discorso che volevo fare non è questo: è proprio il passaggio all’età adulta che in quella fase tardoadolescenziale è un qualcosa di particolare e piacevole.

        Eh bei ricordi di gioventù!

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  2. metalupo ha detto:

    Però era un scuola privata strana eh.
    Nel senso, in genere è proprio il contrario, le private sono un mezzo lager (per esperienza), alla pubblica c’è più sciallo.
    Da noi se solo ti sentivano parlare di occupazione o robe del genere rischiavi l’espulsione, mai fatto un’assemblea in vita mia.
    E comunque il vestitino nero corto tira sempre.
    :)))

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  3. La Prof ha detto:

    Dipende,Lupo (Metalupo? come ti chiamo?)…Lì c’era, nell’ordine: gente svogliata e incapace esattamente come alla pubblica; gente capace ma svogliata che non si applicava; gente capace che si applicava, ma erano soprattutto adulti ai quali insegnavo anche nel pomeriggio perché magari lavoravano…Gli studenti giovani studiosi erano ahimè pochi. E per gli insegnanti ti assicuro che è dieci volte più difficile e frustrante insegnare a persone che non vogliono capire né seguire. Avrei pagato oro per essere in una classe come quella che dici tu! Almeno avrebbero seguito senza troppe scenate..A volte le private hanno un’aura maledetta, e gli altri docenti ti guardano come a dire, sì vabbè tanto non studiano niente…appunto! Per noi docenti è complicato proprio per quello…ad alcuni devi fare oltre che da insegnante da educatrice, perché mancano delle basilari norme di educazione civica, ad altri da psicologa, perché hanno situazioni particolari in famiglia, poi vuoi mettere quanto può esser deleterio per un insegnante dopo che sgobbi a casa per preparare lezioni e programmi arrivare in classe e vedere che la maggior parte fatica a seguire, ti urla sopra e fa casino? Per questo quando poi riesci ad ottenere rispetto, attenzione e risultati, dopo un lungo lavoro insieme, è più gratificante. Però che fatica…

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  4. Demonio ha detto:

    La cosa interessante di tutto ciò (a parte il lato umano e quello chiamiamolo morboso!) è questa cosa per cui un insegnante pare che debba essere visto per forza come una sorta di sacerdote. Non può divertirsi, non può bere, fumare…sesso figuriamoci! E se trasgredisce queste regole e questi “codici” comportamentali subito viene additato come inadatto all’insegnamento. Il colmo poi si raggiunge se fa parte del mondo gay per cui, se genitori scoprono ciò accade il finimondo. Trovo tutto ciò di una ipocrisia spaventosa. Se poi succede un qualche evento(specie se cruento)cbe diviene di dominio pubblico allora i media ci sguazzano e a nessuno viene in mente che un insegnante, come chiunque altro ha una vita privata ed una pubblica ed è quest’ultima che conta e non i cazzi suoi personali.

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  5. La Prof ha detto:

    Certo, ogni insegnante ha la sua vita privata e può fare ciò che vuole. Il problema è che si da per scontato che oltre alla materia debba anche necessariamente ricoprire un ruolo da educatore per trasmettere ai ragazzi non solo delle nozioni, ma anche la civiltà, l’educazione, il rispetto e i valori. Insomma, io lì dentro tendevo ad accollarmi anche quelli che erano in teoria i compiti e le responsabilità della famiglia (trasmettergli le elementari norme civiche di rispetto e tolleranza verso il prossimo…le nuove generazioni che in teoria essendo nate in un mondo più tollerante dovrebbero essere più aperte di noi, mentalmente, hanno invece ancora pregiudizi terribili verso la comunità LGBT, gli immigrati, ecc..), solo che se certe cose non te le hanno mai insegnate a casa, non è facile che ti arrivino solo attraverso la scuola. Posso anche capire che chi insegna dovrebbe anche avere un certo codice deontologico da rispettare, per così dire, ma il problema io non lo vedo perché, honestly, non credo che il fatto che uno esca e si diverta implichi il fatto che non possa poi far bene il suo lavoro. Insomma, io ho fatto il mio, mi sono spesa tanto, pure troppo, ho trasmesso i miei valori e il mio modo di vedere la vita, a prescindere da ciò che posso aver fatto nella mia esistenza non promuovevo certi comportamenti a scuola e anzi, cercavo sempre di sensibilizzarli molto sui rischi al riguardo di droghe, alcool e affini, e mi incazzavo come una iena quando mi raccontavano che guidavano sbronzi; insomma, cercavo di indirizzarli verso un divertimento sano e consapevole, mai pericoloso. In aula sono sempre e solo rimasta una docente, non condividevo le mie esperienze, mi facevo i cavoli miei e andavo oltre certe domande. Poi fuori una vita la vivevo, e oh, non dovevo certo giustificarmi con loro per non essere una di quelle che sta a casa a cucire la calzetta mentre fuori il mondo scorre.

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