Ottobre 2015: a first approach

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L’iniziale antipatia che provavo verso lo studente fastidioso sempre pieno di domande scomode, si è poi sciolta e trasformata in stima. Stima reciproca, devo dire.

In una scuola privata, d’altronde, i casi umani sono molti, e nel marasma di gente maleducata, rissosa,  con lo stesso quoziente intellettivo di un pesce rosso e lo stesso interesse verso lo studio che io posso avere verso il punto croce- quindi, NULLO- riuscire a trovare persone educate, volenterose, capaci e davvero interessate allo studio, bhe, è davvero un miracolo, di conseguenza, le poche perle rare che avevo, inevitabilmente finivano per darmi quel tocco di motivazione in più e rischiarirmi la giornata, mentre gli altri, che dire, contribuivano a rabbuiarmela.

Se ci ripenso ora, specie i primi tempi, certe litigate che mi sembrava di uscire matta. Le ragazze, specie. Di una strafottenza e cafonaggine da record. Alcune erano talmente svogliate che a malapena trovavano la voglia di respirare, figurati di studiare o seguire, ed oltre ad essere ignoranti come una scarpa, erano pure di una maleducazione allucinante. Se non vuoi seguire va bene, rimarrai ignorante a vita, posso farmene una ragione, la cultura non è mai stata per tutti, ma, per dio, quantomeno non parlarmi sopra e permetti a chi vuole ascoltare di farlo senza mandarmi a puttane l’intera lezione con le tue moine da superdonna isterica.

Sarebbe stato da sbatterle al muro, invece dovevo contenermi a appiattirle contro il banco con la forza della mia voce e annichilirle con tutta la schiacciante personalità e il savoir faire di cui fossi capace per far ben capire loro chi diavolo è che comandava là dentro e riuscire ad avere quel minimo di rispetto e decenza che ci vorrebbe in ogni classe, nonché in ogni contesto sociale civile.

Col tempo, sarei riuscita a comprarmi anche la loro fiducia e il loro silenzio, e persino a volergli bene. Solo che all’epoca ancora non lo sapevo.

Nonostante gli scleri, le alzate di voce, e le madonne, insegnare cominciava a piacermi. Col tempo imparavo a saper conquistare ognuno di loro in modo diverso, a saper come prenderli, ogni alunno era dannatamente particolare e dovevo usare approcci e metodi completamente differenti per riuscire ad ottenere l’attenzione e i risultati necessari.

Riuscire a trasmettere qualcosa di mio mi stimolava, specie quando vedevo che la classe era ricettiva e invogliata, cosa ahimè davvero rara. Di conseguenza, mi sentivo soddisfatta solo se a fine lezione ero riuscita ad insegnare qualcosa, era diventata la mia missione, con le buone o con le cattive.

Mi svegliavo col sorriso dopo tanto tempo.