Aprile 2016: Was it casual or not?

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In classe, alla fine dell’ora, spesso gli studenti coi quali avevo più confidenza cominciavano a parlare di cosa avrebbero combinato nel w.e. (ovvero, danni), e presero l’abitudine di buttarmi là come niente fosse mille proposte con la speranza che anche io passassi per i loro stessi lidi. Fortunatamente molti di loro, fra i quali lo stesso Studente Malefico, non erano della mia stessa città, quindi avevo meno possibilità di beccarli in giro; ma proprio per questo mi chiedevano insistentemente, perché, nel caso in cui io mi fossi fatta malauguratamente sfuggire i miei piani, loro sarebbero casualmente passati per lì…

Una mattinata d’aprile uno di loro mi chiese alla fine della lezione cosa avrei fatto quella sera, se per caso ci saremmo beccati in giro o no, per sbolognarmelo dissi frettolosamente “sì, sì, certo”; avevo furbamente imparato che se non volevo domande insistenti e lagne inutili bastava chiosare con garbo e buttarla là sul vago. Mentre rispondevo al tipo avevo notato che lo Studente era rimasto ad ascoltare immobile senza proferire parola.

Quel venerdì uscii con un gruppo di amici a tarda serata, erano le undici e mezzo passate.

Mentre sorseggiavo la mia birra, fra un risata e l’altra, riflettevo sul fatto che proprio lo studente che mi aveva fatto la domanda non c’era (che culo), e sicuramente non avrei beccato l’altro (ma figurati), era di un altro paese e non aveva mai frequentato la mia città (la prima volta ed unica volta era stata appunto per la cena dei cento giorni), quindi mi sarebbe apparso alquanto strano vederlo passeggiare come niente fosse per quelle vie…proprio quella sera là.

Poi vedo una mia alunna, e fin lì niente di che. Noto un cappellino da baseball della NY fra le folla e rifletto sul fatto che ce l’ha uguale al mio ragazzo, e mentre formulo questo pensiero astratto il tipo si gira e mi pare di conoscerlo. Aspetta un attimo, la mente mi si focalizza sulla serata in discoteca di qualche mese prima. Un suo amico. Sposto gli occhi. E lì vicino, lui.

Ho fatto finta di niente. Ho temporeggiato. Ma dentro mi sentivo un po’ ribollire.

Sarà casuale che proprio l’unica sera in cui dico dove sono si fà trovare lì davanti?- mi chiedo un po’ spiazzata. Loro mi riconoscono e cominciano a sgomitare. Mi salutano e io mi giro con un “Ancora??”. Ridacchiano. Si fanno avanti. “Ragazzi, mo basta però, ultimamente mi pare ci incontriamo un po’ troppo spesso, eh!”, dico esasperata, e non a torto.

“Che ci fate proprio qui?”

“Ma niente, siamo venuti a fare un giro…”

“Non vi avevo mai visto da queste parti…”

“Eh, un’improvvisata…” e già mi immagino la scena di lui che trascina gli amici come io avevo trascinato mia cugina in discoteca. Scuoto la testa scacciando i pensieri decisamente troppo fantasiosi e pretenziosi.

“Insomma che fate?”

“Eh, stavamo giusto andando via, prof…” mi dice schivando i miei occhi.

“Ah sì?”

Infatti sono rimasti altri due ore.

“Ci prendiamo una birra qui, prof?”

“No, aspè, andiamo al pakistano, hanno le Peroni da 65 cl  a due euro”

Ride.

“Prof, lo vede che è proprio una donna da sposare?”

“Vabbè per così poco” rido.

“Per tutto, e anche per questo”.

MAH.

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Quell’episodio è stato uno spartiacque.

Per me, era la conferma del fatto che quello che avevo osato pensare fosse vero.

Non me le ero dunque sognate le sue piccole attenzioni in classe, i sorrisini, i complimenti buttati là…

Fra le dichiarazioni di una sua compagna di classe e questo, cominciavano a tornarmi le cose. Più che tornarmi, erano ripeto conferme di cose che già immaginavo.

(Ps: Qualche mese dopo avremmo parlato dell’episodio e avrei invece scoperto che non erano cose così scontate… ma questa è un’altra storia.)

Marzo 2016: unexpected revelations

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Lo studente ad un certo punto mi chiede di fargli lezioni private di spagnolo.

Fra lo scambio di e-mail e l’appuntamento a casa mia passò circa una settimana.

In mezzo ci furono i cento giorni. Sapete no, in quinto si suole festeggiare i cento giorni all’esame di maturità con cene, gite o giù di lì. Più che altro è una flebile scusa per sbronzarsi fino alla morte, da quel che ricordo io.

Gli alunni mi avevano più volte chiesto di andar con loro, qualsiasi fosse la loro scelta o destinazione, cosa che avevo chiaramente rifiutato-mi era ampiamente bastato l’incontro in discoteca.

Una sera esco con mia cugina, fra parentesi, non era nemmeno il giorno in cui si festeggiano i cento giorni, avevo sentito che volevano organizzare una cena in tal posto e quindi, anche se avevo voglia di andare a mangiare fuori da qualche parte, per sicurezza schivai non solo qualsiasi ristorante, ma addirittura evitai di uscire nella zona incriminata, così, tanto per evitare spiacevoli incontri.

Appena uscite, e dico, appena uscite, stiamo camminando per una via quando molto più avanti a me, fra la folla, intravedo due tre volti noti. Delle mie alunne. Subito associo la cosa ai cento giorni e, contrariamente a quanto fin’ora avevo sempre fatto-per educazione ero solita salutare gli studenti se li beccavo in giro-, cambio repentinamente rotta e mi infilo nel primo bar che trovo, sbuffando.

Mia cugina mi segue chiedendo delucidazioni. Non faccio in tempo a dire:

“Lascia fare, ci sono quei teppisti dei miei st..” che:

“PROF!!!” e mi sento tirare indietro direttamente dal cappuccio della giacca. Cioè, mi avevano letteralmente inseguita e assaltata.

Faccio per girarmi alquanto infastidita e:

“Prof, ha fatto finta di non vederci??”

“Ehm, ma no, io…”

“E’ letteralmente fuggita via!”

“Veramente io…”

“Dove va di bello??” e insomma, mi bloccano all’entrata del locale e cominciamo a parlare.

Due nano secondi dopo arriva lui. Lo studente malefico, of course. Mi vede e mi saluta contento come una pasqua. E’ felicissimo e ubriachissimo. Alla fine sentendomi un po’ una merdina per averli dribblati mi fermo a fare due chiacchiere, e mi convincono, per non dire trascinano, a prenderci qualcosa da bere tutti insieme per brindare ai cento giorni dall’esame.

La serata è stata strana. Ho subito rimproverato lo studente perché era ridotto davvero male. Non che io sia una santa, eh, però jesus, un po’ di sano equilibrio. E poi doveva anche guidare. Ero preoccupata per la sua sicurezza. Mi sentivo tanto mamma chioccia. Lui ha cercato in tutti i modi di offrirmi da bere ma ho eluso l’offerta sino alla fine. Non nel senso che non abbia bevuto. A fine serata  ero forse più sbronza io di lui. Nel senso che non mi sono fatta offrire niente.

Arriviamo al bancone e insiste con veemenza:

“No”

“Ma perché no?”

“Non ti preoccupare, non serve che mi offri da bere, davvero”

“Che c’entra? Io voglio offrirle da bere, è diverso”

“Questo l’ho capito. No, grazie, faccio da sola, non serve”

“Non serve a cosa, mi scusi? Se lo faccio è perché ho il piacere di offrirle da bere, non così, tanto per…”

Ma tanto alla fine mi sono impuntata e ho pagato da sola. Dicevo che è stata una serata strana. Siamo stati bene, ho passato allegramente del tempo con tutti, anzi, ho passato gran parte della serata soprattutto con le mie alunne, abbiamo riso e scherzato tutti insieme. Mentre ci stiamo riavviando verso casa due ragazze, complice la vicinanza e l’alcool in corpo, cominciano a lasciarsi andare e a dirmi quanto si trovino bene con me proprio per come sono, perché al di là della docenza io li faccia sentire a loro agio anche in una serata così, inaspettata ma piacevole, la solita storia che si vede che sono una tipa in gamba e non una vecchia dentro e bla bla e cominciano a paragonarmi con l’altra insegnante mia coetanea che però ha tutt’altra mentalità (“prof quella è la classica casa e chiesa il cui unico obbiettivo di vita è farsi mettere l’anello al dito e ingravidare”, parole loro). Finiamo sul discorso degli studenti maschi che fanno i provoloni là dentro e ne dicono dietro di ogni. Cerco di sminuire la cosa, dicendo che è normale, che a loro basta che non si presenti la classica megera che puzza di stantio ma una poco più giovane e di mentalità più aperta di un ottantenne che non ci capiscono più niente, ma lei attacca No no prof, la apprezzano proprio tutti, davvero!, e poi lo dice, chiaro e tondo:

“Lo studente, poi, è proprio innamorato di lei…”

COSA?

“Ma no, che c’entra, è solo perché sono giovane, su..” cerco di smontare.

“No no prof, lui la stima proprio, non fa altro che dire che è una ragazza tanto intelligente e in gamba, le piace come persona, non sono i classici commenti stupidi sull’aspetto fisico..”

“Vabè ma dai, quelli me li fa anche Tizio, e poi anche Caio e Sempronio, ma mica vuol dire…”

“NO PROF, Tizio e Caio perché sono così, lo fanno tanto per fare gli scemi, invece studente è proprio innamorato, mi dia retta..”

“Ma quale innamorato, è presissimo della ragazza, lo dice sempre, e si vede, cioè..”

“Vabè la ragazza sarà la ragazza, ma anche con lei non scherza, eh..” mi ha interrotto.

“Ma che non te n’eri accorta?” le fa eco mia cugina.

“Ragazze su non esageriamo, la sua al massimo è la classica infatuazione che hanno anche tutti gli altri, né più ne meno, e niente di più, dai!”

“Massì sarà una cotta, però lo è”, mi ribadisce l’alunna.

Torno a casa confusa e brilla, non so se per l’alcool o le rivelazioni inaspettate.

Quella sera la conversazione con l’alunna mi mise ancora di più la pulce nell’orecchio.

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